L’interpretazione goldoniana del Givelegov (1954)

L’interpretazione goldoniana del Givelegov, recensione a A.K. Givelegov, Carlo Goldoni e le sue commedie («Rassegna sovietica», a. IV, n. 9, settembre 1953, pp. 9-32), «La Rassegna della letteratura italiana», a. 58°, serie VII, n. 1, Genova, gennaio-marzo 1954, pp. 149-151, poi in W. Binni, Classicismo e Neoclassicismo nella letteratura del Settecento, Firenze, La Nuova Italia, 1963, 19763.

L’INTERPRETAZIONE GOLDONIANA DEL GIVELEGOV

Nel quadro augurabile di una presentazione degli studi russi di letteratura italiana (di cui un’idea troppo sommaria è fornita nelle due o tre pagine dedicate nel numero 12 di dicembre della «Rassegna sovietica» allo «studio della letteratura italiana nelle Università sovietiche») va considerato il presente studio[1] dell’italianista recentemente scomparso, e già pubblicato come introduzione ad un’antologia goldoniana edita a Mosca nel 1949.

È bene sapere poi che questo studio è la ripresa di altro studio precedente del 1933 (del quale si riportano in nota passi integrativi) e questa origine piuttosto lontana può spiegare in parte la assenza di ogni riflesso nelle pagine del Givelegov dei numerosi studi critici italiani posteriori a quella data iniziale (i libri del Gimmelli e del Rho, il giudizio del Croce in relazione alla tesi del Rho, le pagine della storia letteraria del Sapegno, del Flora e del Momigliano).

Ma l’assenza delle discussioni piú recenti sulla natura dell’opera goldoniana e sulle sue qualità artistiche, è da mettersi soprattutto in relazione con un evidente disinteresse dello studioso per tale problematica critica (iniziata sin dal De Sanctis e presente nei lavori giovanili del Momigliano), e con una impostazione sostanzialmente diversa che, rispetto ai brani del 1933, sembra anche piú energicamente affermata nel saggio del 1949.

Mentre le esitazioni e le giustificazioni o le negazioni recise circa la qualità poetica dell’opera goldoniana tipiche di un De Sanctis, di un Momigliano, di un Croce, mancano del tutto in questo studio, gli stessi possibili limiti del mondo goldoniano e della sua realizzazione artistica sono risolti nella constatazione di una imperfetta elaborazione letteraria giustificata con la fretta e l’urgenza del compositore teatrale. E se non mancano accenni alle caratteristiche del ritmo teatrale goldoniano e ai risultati alti delle grandi commedie veneziane (realismo, non naturalismo) poste giustamente al culmine dello sviluppo goldoniano, questi stessi accenni (migliori comunque quelli sul ritmo teatrale, sul valore teatrale dell’opera goldoniana che presuppongono la grande esperienza della regia teatrale russa e una sicura tradizione in materia) sono fatti entro uno schema di interpretazione che punta nettamente sul significato storico-sociale del teatro goldoniano come «quadro mirabilmente vario e ricco della vita sociale in Italia nella metà del sec. XVIII», ma piú come «protesta del terzo stato contro il regime feudale» e addirittura come organica attuazione di «un intero programma sociale».

Sicché da questo punto di vista la stessa «riforma» goldoniana (che il Givelegov pare accettare troppo letteralmente nei termini aposterioristici dei Mémoires e come preciso programma pienamente consapevole, attuato con perfetta gradualità – e ben si sa come questa accettazione connessa con quella della finalità della commedia di «carattere» portasse il De Sanctis ad una assurda riprova di fallimento oltre che ad un paragone astratto con il Molière) viene studiata in relazione ad un preciso programma di scrittore impegnato, con una volontà e un compito di «propaganda» quale «portavoce della borghesia italiana piú progredita in lotta contro il feudalesimo» e che, proprio per questi compiti e queste esigenze, respingeva la vecchia tecnica improvvisatrice della commedia dell’arte: «la quale costituiva ormai un ostacolo alla espressione del nuovo contenuto ideologico» («con l’improvvisazione era difficile fare della propaganda nel teatro») e aveva perduto il suo iniziale carattere di satira e di opposizione.

Questa interpretazione, appoggiata a buone osservazioni sulle condizioni sociali veneziane (interessante l’attenzione al progressivo scomparire nell’opera goldoniana di quelle maschere che non corrispondono piú ad un significato sociale e storico), al rilievo generalmente giusto della goldoniana fiducia nella vita, del suo gusto per il concreto, del suo entusiasmo per una società attiva e laboriosa, può rappresentare nel caso specifico del Goldoni un’utile reazione agli eccessi delle letture musicalistiche e impressionistiche (a cui non sono mancate del resto reazioni nella nostra critica, come non sono mancati i richiami ad una migliore storicizzazione dell’arte goldoniana) e raccomandarsi comunque, nelle pagine del Givelegov, per il vivo senso della vitalità goldoniana, dello slancio delle sue figure nate da una singolare simpatia poetica per gli uomini e per la loro «città».

Ma tale interpretazione è poi obbiettivamente insufficiente per spiegare interamente la complessa e raffinata poesia del Goldoni che non si può ridurre a semplice attuazione di un «programma di propaganda», cosí come la stessa diagnosi della decadenza della commedia dell’arte non sembra tener conto delle piú complesse ragioni etico-letterarie della civiltà razionalistica-arcadica che furon ben vive – seppure in un chiaro spostamento verso piú avanzate fasi di cultura illuministica – nella volontà riformatrice del Goldoni in un nesso piú intrecciato e ricco e in un quadro storico piú complesso di quanto potrebbe apparire in un semplice rapporto feudalesimo-borghesia progressista: donde l’eccessiva importanza data alla mediocre commedia Il feudatario che oltre tutto vive in quell’ambiente campagnolo che il Goldoni sentí in termini piú arcadico-leggiadri e senza profondo interesse.

Del resto lo stesso Givelegov avvertiva (almeno nei brani del ’33) le difficoltà di fare del Goldoni un chiaro «propagandista», e mentre risolveva l’apparente contraddizione del «portavoce» della borghesia che mette in ridicolo personaggi borghesi, con l’osservazione di una specie di autocritica sugli «infantilismi» della nuova classe, non riusciva a chiarir bene la difficoltà maggiore: ché non bastava il ricorso da una parte a debolezze e timori del Goldoni e dall’altra ad una specie di istintiva sensibilità priva di adeguata coscienza politica, per accordare la immagine del «propagandista» e dello scrittore che svolge gradualmente un «intiero programma sociale» con quella, che pure al critico non poteva sfuggire, del poeta ricco di atteggiamenti e di libertà fantastica nella creazione del suo mondo, attento non solo ai rapporti sociali ma alla vita dei sentimenti, dell’amore e del capriccio in una squisita dimensione settecentesca (il poeta degli Innamorati!).

Occorrerà ancora dire che nella stessa attenzione alla posizione goldoniana nella vita del suo tempo e alla sua umanità (su cui basti ricordare un ricco articolo di Nino Valeri su «Civiltà Moderna», 1931) il Givelegov avrebbe potuto trovare notevole materiale di arricchimento (ma secondo noi anche di rettifica) alla propria interpretazione, nella utilizzazione dei Mémoires e delle lettere, da cui avrebbe potuto trarre spunti per precisare alcuni motivi del suo studio: come quello del Goldoni poeta dei giorni di lavoro e non di festa (e meglio dell’«ordinario», non del «decorativo») o quello della mancata attenzione alla «bellezza» di Venezia che andrebbe riveduta attraverso i Mémoires, dove cosí forte è il senso di fascino della sua città, sempre piú forte nell’animo del poeta ad ogni nuovo ritorno, e precisata in un civile interesse ed entusiasmo per «la città» e in contrasto con il suo disinteresse per la natura non organizzata dagli uomini.

Malgrado il limite generale (ché la stessa interpretazione storico-sociale del Goldoni richiederebbe maggiore approfondimento) e gli appunti particolari, la lettura del saggio del Givelegov ci è apparsa comunque interessante ed utile, sia come pretesto per una possibile discussione generale e metodica, sia per il richiamo che implica, nel caso specifico dell’opera goldoniana, ad una intensa attenzione storica come preparazione ad una migliore comprensione della vita in cui quell’opera si formò. Naturalmente questa esigenza storica ci appare tanto piú valida quanto piú funzionante in relazione ad una coscienza del valore poetico e della personale forza di decisione del poeta, quale da tempo possiede la critica italiana e che non va confusa con un’astratta ed evasiva degustazione formalistica che di questa critica rappresenta solo un aspetto in gran parte superato dalle migliori tendenze storicistiche e dai loro attuali sviluppi.


1 A.K. Givelegov, Carlo Goldoni e le sue commedie, in «Rassegna sovietica», 9 (settembre 1953), pp. 9-32.